Resilienza: perché parlarne non basta

Pronunciala in un meeting e otterrai un consenso universale. Scrivila in maiuscolo su una slide PowerPoint e sarà applaudita come il Sacro Graal della crescita personale e professionale. La resilienza sembra ricoprire un ruolo importantissimo in azienda, ma cosa significa veramente?

La parola

C’è una parola che negli ultimi anni ha fatto il giro del mondo, passando dagli ambienti aziendali ai talk show, dai corsi di coaching alle caption su Instagram: “resilienza.” Peccato che a furia di ripeterla, la povera resilienza si sia trasformata in una di quelle buzzwords che promettono tutto e non dicono più nulla. E qui sta il problema: svuotata del suo significato, usata senza criterio, resilienza è diventata una sorta di mantra vacuo, una scorciatoia linguistica per evitare di affrontare la vera domanda. Cosa significa davvero essere resilienti?

Originariamente, il termine viene dalla fisica: la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Applicata agli esseri umani, la definizione si arricchisce: resilienza diventa la capacità di affrontare le avversità, adattarsi, e magari uscirne rafforzati. Tuttavia, nel momento in cui è diventata una parola d’ordine, qualcosa è andato storto.

In molte conversazioni, resilienza è usata come un’etichetta che ci si appiccica addosso per sembrare forti. “Sono resiliente” diventa sinonimo di “sto sopravvivendo”, ma senza la riflessione necessaria a dare sostanza a questa affermazione. Così, ripetendola senza criterio, rischiamo di trasformarla in uno slogan vuoto, un esercizio di linguistica motivazionale che non ci porta da nessuna parte.

Dalla parola all’azione

Per evitare che la resilienza rimanga confinata a una slide accattivante, dobbiamo fare un passo avanti. Non basta parlarne: bisogna metterla in pratica. Ma come? La chiave potrebbe risiedere in un esercizio che ci accompagna da millenni: la pratica filosofica.

La filosofia, spesso vista come una disciplina astratta e lontana, è in realtà un laboratorio di pensiero critico. Ed è proprio il pensiero critico a fornirci gli strumenti per rendere la resilienza una competenza concreta e applicabile. Come? Attraverso un allenamento costante all’arte di concettualizzare, argomentare, interpretare, problematizzare e formulare domande.

La filosofia come palestra di resilienza

Immaginiamo una situazione concreta: hai appena perso un lavoro che consideravi sicuro. Lo shock è reale, ma come affrontarlo con resilienza? La filosofia ti invita a fermarti e riflettere:

  • Concettualizza: Cosa significa per te questa perdita? Un fallimento? Un’opportunità?
  • Argomenta: Quali sono le ragioni che ti portano a vedere la situazione in un modo piuttosto che in un altro?
  • Interpreta: Quali altri significati potrebbe avere questo evento?
  • Problematizza: Stai dando per scontato qualcosa? Forse hai sempre pensato che il lavoro definisse il tuo valore personale.
  • Formula domande: Cosa puoi fare ora? Quali risorse hai a disposizione? Quale primo passo puoi compiere?

Questo esercizio ti aiuta a spostare il focus dalla reazione immediata alla riflessione critica, creando uno spazio mentale in cui l’adattamento diventa possibile. E non serve essere filosofi di professione: basta concedersi il tempo per pensare in modo strutturato.

Un esempio pratico

Prendiamo un aneddoto celebre dalla storia della filosofia: l’esilio di Seneca. Costretto a lasciare Roma e isolarsi in una remota provincia, avrebbe potuto cedere alla disperazione. Invece, utilizzò quel tempo per scrivere, riflettere e sviluppare le sue idee stoiche. Non ignorò la sofferenza, ma ne approfittò come di un’opportunità per esercitare la virtù e crescere come essere umano. Questo è un esempio tangibile di resilienza in azione: non la negazione del problema, ma la capacità di trasformarlo.

Conclusione

Alla fine, il rischio è che termini come “resilienza” rimangano solo parole. Belle, altisonanti, utili per i titoli dei workshop, ma sterili senza un’applicazione concreta. Se non ne comprendiamo il valore e come tradurlo in azione, sono solo suoni che riempiono il silenzio. Servono a cosa? Forse solo a gonfiare l’ego.

Allora, la prossima volta che senti qualcuno dire “siamo resilienti”, chiediti (o chiedigli): come? Perché finché non impariamo a metterla in pratica, la resilienza non sarà che un palloncino rubato dal vento.