I superpoteri delle aziende: le soft skills
Se ci fosse un premio per la parola più gettonata nei colloqui di lavoro, “soft skills” lo vincerebbe a mani basse. Perché sembra sempre la risposta a tutte le domande, ma al tempo stesso una nebulosa indefinibile? E, soprattutto, cosa si nasconde dietro questo termine così “pop”?

Un termine abusato che rischia di significare tutto e niente
La verità è che “soft skills” rischia di essere vittima del suo stesso successo. A furia di usarlo a sproposito, ha finito per indicare tutto e niente: dalla capacità di lavorare in gruppo a quella di non sbadigliare durante una riunione particolarmente noiosa. L’inflazione semantica è dietro l’angolo, e così ci troviamo con annunci di lavoro che cercano candidati “flessibili, empatici, resilienti, multitasking” e, già che ci siamo, “bravi a fare il caffè”.
Ma le soft skills esistono davvero o sono solo un’invenzione della retorica aziendale? Spoiler: esistono, eccome. Solo che bisogna capire bene cosa sono e, soprattutto, a cosa servono.
Soft skills: cosa sono davvero e perché contano
Secondo numerosi studi, le soft skills sono quell’insieme di competenze trasversali che permettono a una persona di navigare nel mondo del lavoro (e della vita) con più successo. Non stiamo parlando di abilità tecniche, come saper programmare in Python o usare Excel con maestria, ma di capacità come la comunicazione, il pensiero critico, l’adattabilità e la gestione delle emozioni (proprie e altrui).
Un esempio concreto? Immagina un team di sviluppatori software che deve risolvere un problema tecnico complesso. Non basta che ognuno sia un esperto nel suo campo. Serve qualcuno capace di mediare tra diverse opinioni, di analizzare le criticità con lucidità e di proporre soluzioni creative senza creare conflitti inutili. Insomma, servono le soft skills.
La chiave del successo? Saper ragionare con acutezza
Tra le soft skills più preziose, ce n’è una che fa da pilastro per tutte le altre: la capacità di ragionare con acutezza. Sapere interpretare una situazione, cogliere impliciti, concettualizzare, inferire collegamenti nascosti e argomentare le proprie posizioni. Queste sono alcune delle capacità che distinguono un professionista brillante da uno nella media.
Prendiamo un esempio pratico. Durante una riunione, un collega propone una nuova strategia di marketing. Chi sa ragionare con acutezza è capace di andare oltre la superficie, ponendo domande critiche (“Quali sono i costi reali di questa strategia?”), problematizzando (“Cosa succede se il target non reagisce come previsto?”) e argomentando (“Credo che un approccio alternativo possa essere più efficace perché…”). Questo non significa essere ipercritici, ma lucidi e costruttivi.
La pratica filosofica: il personal trainer delle soft skills
E qui arriva il punto interessante: queste capacità di ragionamento sono proprio quelle che la filosofia, fin dall’antichità, si propone di allenare. Platone non parlava di brainstorming aziendali, ma i dialoghi socratici sono un esempio perfetto di come mettere alla prova idee, concetti e argomentazioni. Lo stesso vale per le scuole ellenistiche e i loro esercizi “spirituali” volti a rafforzare l’animo e renderlo pronto alle sfide della vita.
Praticare la filosofia, anche in un contesto non accademico, aiuta a sviluppare strumenti mentali preziosissimi. Interpretare testi (e contesti), analizzare problemi complessi, soppesare alternative e affrontare decisioni con lucidità. Non a caso, alcune aziende all’avanguardia hanno iniziato a proporre workshop di pratica filosofica per i loro dipendenti.
Un esempio? Durante un laboratorio filosofico, si può lavorare su un caso aziendale reale, applicando il metodo socratico per esplorare i punti di forza e di debolezza delle strategie proposte. Ma è possibile anche allenare il pensiero laterale con esercizi mirati che sfidano i preconcetti.
Durante un laboratorio filosofico i partecipanti raffinano la loro capacità di interpretazione di fenomeni complessi. Incrementano la loro plasticità cerebrale allenandosi a mettere in discussione i loro stessi presupposti. O ancora si esercitano nell’arte della sintesi attraverso la concettualizzazione.
Cosa dovrebbe fare un’azienda alla ricerca di soft skills?
La risposta è semplice: investire in pratiche filosofiche. No, non significa costringere i dipendenti a leggere tutta l’Etica Nicomachea di Aristotele (anche se non sarebbe una cattiva idea), ma creare spazi di confronto e riflessione strutturata. Organizzare sessioni di dialogo, simulazioni di decision-making critico e laboratori di problem solving fa la differenza!
In conclusione, le soft skills non solo esistono, ma sono più importanti che mai. E se vogliamo davvero svilupparle, forse è il momento di guardare alla filosofia non come a un esercizio accademico, ma come a un’arma segreta per il successo aziendale. Chi l’avrebbe mai detto che Socrate sarebbe diventato il coach del futuro?