Coaching e Pratica filosofica
Che differenze ci sono tra il coaching e la pratica filosofica? A quali esigenze rispondono le due attività di consulenza? Qual è la più adatta in un contesto aziendale? Il presente articolo proporrà un punto di vista sull’argomento.

Due strade, due visioni
Il mondo dello sviluppo personale e professionale offre percorsi diversi per accompagnare individui e gruppi nel loro percorso di crescita. Due modelli particolarmente interessanti sono il coaching secondo gli standard ICF (International Coaching Federation) e la pratica filosofica ispirata al dialogo socratico, come quella che proponiamo ad Ennesima. A prima vista, potrebbero sembrare metodi simili. Entrambi pongono domande, stimolano la riflessione e mirano a una maggiore consapevolezza. Ma le differenze sono sostanziali. Vediamole.
I valori di fondo: empowerment vs. esame di sé
Il coaching ICF poggia sul valore della realizzazione personale e professionale, in una parola nell’empowerment. Il coach accompagna il cliente nel definire e raggiungere i propri traguardi, senza fornire risposte, ma creando uno spazio di fiducia in cui le istanze dei clienti non vengono messe in discussione. Ai clienti viene dato lo spazio affinché essi trovino in autonomia la propria direzione e acquisiscano maggior consapevolezza di sé e di ciò che vogliono. Il presupposto di base è che ogni individuo sia capace di auto-orientarsi, purché stimolato con le giuste domande. Il coach non impone risposte ma facilita il processo di scoperta.
La pratica filosofica, invece, si radica nella tradizione socratica, dove il valore centrale è la consapevolezza di sé attraverso la coerenza del pensiero. Ripeteva spesso Socrate: “conosci te stesso e conoscerai gli Dei e l’Universo intero”. Il filosofo pratico non è un facilitatore accogliente, ma un interlocutore che sfida le idee del suo cliente. Lo mette in crisi di fronte alle proprie contraddizioni e lo costringe a pensare in modo più rigoroso, perché è così che tratta anche se stesso. La pratica filosofica è come una sfida lanciata a se stessi.
La crisi non è considerata come un effetto indesiderato da cui proteggere l’interlocutore ma piuttosto l’occasione per capire chi si è veramente. Il fine primario non è il benessere o il raggiungimento di un obiettivo, ma l’esame di sé, il cui effetto secondario è spesso una maggior consapevolezza di sé e una maggior lucidità decisionale.
Il filosofo non crede soltanto che ogni individuo sia capace di auto-orientarsi ma anche che la consapevolezza si possa raggiungere solo mettendo in discussione ciò che crediamo di sapere. Il benessere e il raggiungimento di obiettivi pratici sono effetti secondari di una aumentata consapevolezza e autonomia.
Se perciò il coaching si prefigge di trovare la strada, la pratica filosofica esorta a mettere in discussione che ve ne sia solo una e così scopre strade alternative.
Modalità operative: facilitazione vs. confronto
Il coaching ICF si svolge attraverso sessioni strutturate attorno a un dialogo guidato dal coach, che utilizza tecniche come il silenzio strategico, l’ascolto attivo, la riformulazione e la visualizzazione. Il cliente porta un tema, il coach lo aiuta a esplorarlo con domande aperte e strumenti che stimolano introspezione e azione. Il tono è collaborativo, incoraggiante, non provocatorio e il focus è sulle soluzioni.
Il coach è un alleato silenzioso che sostiene senza giudicare. Può aiutare il cliente a notare una contraddizione o un suo limite, ma raramente si permetterà di chiamarle errate o sbagliate. Tra le poche eccezioni appare degno di menzione il challenging coaching, un tipo di facilitazione in cui il coach ha come principale obiettivo quello di sfidare il cliente e i suoi punti di vista.
La pratica filosofica adotta un approccio tendenzialmente dialettico e provocatorio. Il filosofo non accetta risposte vaghe o incoerenti, ma le sfida, costringendo l’interlocutore ad esaminare le sue stesse affermazioni e a giustificarle. Il dialogo è serrato, pungente, persino spiazzante. Se il coaching è una danza, la pratica filosofica è un duello: il filosofo usa un metodo incalzante: interrompe, insiste, ribatte. Se un interlocutore afferma “voglio essere felice”, il filosofo chiede per esempio “cosa ti renderebbe felice?”, “cosa sacrificheresti per questo?”, “riesci a immaginare una situazione in cui non vorresti essere felice?”.
Qui il dialogo è uno specchio spietato, che costringe a mettere a nudo le proprie idee e difenderle con argomentazioni solide. La pratica filosofica invita il cliente a giudicare con rigore se le sue credenze meritano di essere tenute o andrebbero gettate. In questo senso assomiglia alle pulizie di primavera o al decluttering, l’arte di liberarsi di ciò che è inessenziale.
Qualche esempio
Immaginiamo due scenari.
Caso 1: Un manager vuole migliorare la leadership. Il coach ICF lo guiderà con domande tipo: “Che tipo di leader vuoi essere? Cosa puoi fare oggi per avvicinarti a quel modello?” Il filosofo, invece, potrebbe spiazzare con domande del tipo: “Dici di voler essere un buon leader, ma ‘buono’ per chi? E perché dovresti esserlo?”
Caso 2: Una persona si sente bloccata. Il coach probabilmente non metterebbe subito in discussione questo sentimento e partendo da esso, aiuterà piuttosto la persona a identificare gli ostacoli e costruire un piano d’azione. Il filosofo potrebbe invece immediatamente chiedere: “Sentirsi bloccata equivale a essere bloccata?”.
Metaforicamente, il coach è un giardiniere: annaffia, crea le condizioni ideali affinché il cliente cresca e sbocci. Il filosofo è un fabbro: prende il ferro delle idee e lo tempra col fuoco, lo martella fino a ottenere una forma più solida e coerente.
Due strade, un unico fine
Pur essendo profondamente diversi nel metodo e negli intenti, coaching ICF e pratica filosofica condividono una cosa: l’arte della domanda. Il coaching si muove per lo più nella dimensione del fare, riconoscere e gestire le proprie emozioni, in modo che diventino propellente per l’efficienza e la collaborazione, non ostacoli. La pratica filosofica punta per lo più a svelare la dimensione dell’essere attraverso l’esame di sé, a potenziare il sé attraverso l’allenamento delle sue facoltà razionali.
Perciò, coaching ICF e pratica filosofica non sono in contraddizione, ma rispondono a bisogni diversi. Chi cerca un approccio orientato alla sfera dell’emotività e al risultato troverà nel coaching un valido aiuto. Chi cerca un approccio più razionale e rigoroso troverà nella pratica filosofica una rigenerante sfida. La vera domanda è: tu cosa vuoi?
Forse, come direbbe Socrate, “il vero cambiamento avviene solo quando si osa mettere in discussione se stessi”. Sei pronto a farlo?